Ramon Espejo si risvegliò fluttuando in un mare di oscurità. Per un momento si sentì rilassato e leggero, mentre si abbandonava alla corrente, ma poi la sua identità riemerse a sprazzi, come un pensiero molesto.
Dopo il nulla profondo, caldo, non era affatto piacevole ricordarsi chi fosse. Senza svegliarsi del tutto, sentì comunque il peso della sua esistenza opprimergli il cuore. Disperazione, rabbia e un’angoscia strisciante riecheggiavano smorzate nella sua mente, come se nella stanza accanto qualcuno si stesse schiarendo la gola. Per un breve periodo felice non era stato nessuno, e adesso era di nuovo sé stesso. Il suo primo pensiero davvero cosciente fu negare la delusione che provava nell’essere vivo.
Era Ramon Espejo. Stava facendo ricerche minerarie nei territori nei pressi di Nuevo Janeiro. Era... era... Ramon Espejo.
Si era aspettato di ricordare la sua vita nei minimi dettagli - che cosa aveva fatto la notte prima, che cosa aveva in programma per quel giorno, quali rancori covasse nel suo intimo, quali risentimenti l’avessero amareggiato negli ultimi tempi - ma era come se gli mancassero alcuni tasselli. Sapeva di essere Ramon Espejo, ma non sapeva dove si trovava o come fosse finito lì.
Agitato, cercò di aprire gli occhi e scoprì che erano già spalancati. Ovunque si trovasse, era un posto completamente buio, più scuro della notte nella giungla, più scuro delle tenebre nelle profonde caverne nelle scogliere di arenaria vicino Swan’s Neck.
O forse era cieco.
Quel pensiero scatenò in lui un senso di panico. Aveva sentito raccontare di uomini che si erano ubriacati con moscato sintetico scadente o Sweet Mary e che si erano risvegliati privi della vista. Lo aveva fatto anche lui? Aveva perso il controllo sino a quel punto? Un rivoletto di sudore freddo gli scese lungo la spina dorsale. Ma non aveva mal di testa, e la pancia non gli bruciava. Chiuse gli occhi, sbattendo forte le palpebre più volte, per tentare di costringersi a vedere di nuovo; l’unico...

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